Ci sono poche cose davvero sacre per un italiano. Il calcio, sport nazionale che appassiona in tutte le sue categorie e varianti: dalla Serie A ai campionati giovanili, passando per il calcio a 5 e quello saponato. Stessa cosa accade per la cucina, specie per quel che riguarda pasta e pizza, in cui regnano sovrane la passione e la fantasia. Infine, anche le carte da gioco sono una cosa seria. Lo dimostra il boom di vendite delle carte da gioco in Italia registrato nel 2020. Il dato non fa altro che confermare la nostra teoria, secondo cui la popolazione del Belpaese tiene molto alla tradizione del gioco delle carte. Specialmente se si tratta di specialità che siano giocabili attraverso uno dei numerosi mazzi tricolore a disposizione. Perché, se non lo sapete, non esiste una sola tipologia italiana di carte, bensì numerosissime e tutte peculiari tra di loro.
Nelle prossime righe cercheremo di esporvi le più famose, ma prima di tutto proviamo a capire come sono nate le carte da gioco italiane. A quanto pare esse sarebbero strette parenti delle carte utilizzate dai soldati egiziani, più noti come Mamelucchi. Queste carte erano in tutto quaranta, con 10 carte per ogni seme. Questi ultimi simboleggiavano le scimitarre, i bastoni da polo, le coppe e le monete d’oro. Non è un caso, dunque, che quando queste giunsero in Spagna e in Italia, i semi vennero mantenuti pressoché intatti, salvo qualche rivisitazione a livello estetico dei disegni. Ecco, quindi, da dove derivano i semi delle spade, dei bastoni, delle coppe e dei denari. Una storia che, poi, è proseguita con le prime attestazioni risalenti alla fine del 1300, specialmente in Toscana, per la precisione a Firenze. Le carte, dunque, si sono evolute e differenziate nel corso del tempo da regione a regione, assumendo fisionomie particolari e decidendo se adottare i semi spagnoli o quelli italiani, che sono i medesimi ma cambiano leggermente dal punto di vista rappresentativo.
Nello specifico, i semi italiani rappresentano le spade come fossero delle scimitarre, un po’ come succedeva con le carte mamelucche, le coppe come calici, i denari spesso di colore rosso e nero e i bastoni come scettri. Fanno parte di questa categoria le bolognesi, le bergamasche, le triestine, le trevisane, e le bresciane. Queste ultime, inoltre, si distinguono per un’altra peculiarità: il mazzo, infatti, non è composto da 40 carte, ma da 52. Ma i mazzi con semi italiani sono meno diffusi nel nostro Paese rispetto a quelli con semi spagnoli, come si può ben notare andando in tabaccheria, nei negozi di giocattoli o provando a dare un’occhiata all’offerta di giochi di carte in rete e in formato app presenti al giorno d’oggi. I simboli iberici rappresentano le monete con il colore oro predominante e l’effige del sole al centro, i bastoni come tronchi, le spade dritte e più brevi rispetto alle scimitarre e le coppe come calici o trofei. Fanno parte di questo secondo gruppo le piacentine, che sono le più moderne dal punto di vista dei mazzi italiani in generale, le napoletane, le più vendute in assoluto, le siciliane, le sarde, le abruzzesi e le romagnole.
Infine abbiamo altre due categorie di carte che non usano i tradizionali semi mamelucchi, bensì quelli francesi (cuori, picche, fiori e quadri) o tedeschi (foglie, cuori, campanelli e ghiande). Fanno parte del primo gruppo quelle genovesi, le milanesi, le toscane e le piemontesi. Tutte queste risentono della vicinanza con il confine transalpino. Le prime e le ultime citate, poi, possono avere mazzi composti da 36, 40 o 52 carte a seconda del gioco cui si sceglie di giocare. Fanno parte del secondo gruppo, invece, le sole carte della Provincia di Bolzano, note anche come Salisburghesi a causa dell’influenza austro-tedesca. Non esistono più, invece, le carte baresi, quasi uguali a quelle napoletane e per questo cadute in disuso, le romane, sostituite dalle piacentine, le udinesi e le nuoresi.