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Depistaggio sulla strage di via D’Amelio, prescrizione per tre poliziotti del gruppo d’indagine Falcone- Borsellino

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Caltanissetta – È trascorso troppo tempo perché la giustizia faccia il suo corso. Così, nel concreto, s’è tradotta la sentenza emessa nei confronti di tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio.

Lo ha deciso la corte d’Appello di Caltanissetta nei confronti di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, funzionario il primo, agente l’altro e ispettore il terzo,  che facevano parte del gruppo d’indagine Falcone- Borsellino.  Una task force investigativa guidata dall’allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera,

Per i giudici è stato dichiarato prescritto il reato di calunnia , aggravata dall’aver favorito la mafia,  ipotesi a loro contestata per la strage del luglio 1992 costata la vita del procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta , Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina,  Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.

Il perché è presto spiegato. La prescrizione si è configurata perché non ha retto l’aggravante mafiosa.

Sostanzialmente un verdetto che ha ricalcato il  primo grado del giudizio eccezion fatta per uno degli imputati, l’agente, che nel primo passaggio in aula aveva messo in carniere un’assoluzione nel merito e non l’estinzione per prescrizione.

Così s’è chiuso il processo sulle presunte falsità costruite attraverso il finto pentito Vincenzo Scarantino. Una verità fasulla che poi, alla fine, ha fatto scattare sette condanne , in via definitiva, a carico, tra gli altri, di Natale Gambino, Giuseppe La Mattina Gaetano Scotto, Gaetano Murana e  Cosimo Vernengo – poi assolti nel processo di revisione per la strage di via D’Amelio – e adesso parti civili. Come parti civili si sono costituiti i figli di Paolo Borsellino, Manfredi, Lucia e Fiammetta, i nipoti, il fratello del magistrato e familiari degli agenti di scorta uccisi dall’autobomba.

Falsità che per anni hanno inchiodato in carcere innocenti e che solo tantissimo anni dopo, grazie alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia rese alla procura nissena, Gaspare Spatuzza.

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