Gela – Chiesto il carcere a vita per il presunto mandante di un delitto. È stata l’accusa a sollecitarlo nel nuovo processo a carico dell’imputato.
È l’imprenditore edile cinquantasettenne Giuseppe Cauchi, gelese, ritenuto la regia del delitto di un altro gelese, l’allora imprenditore edile trentaduenne Matteo Mendola.
La procura generale di Torino – perché è nel Novarese che s’è consumato il delitto – ha chiesto la condanna all’ergastolo dello stesso imputato.
Sarebbe una riforma radicale della precedente sentenza, perché Cauchi al termine del processo di primo grado è stato assolto. È tornato in giudizio su appello della procura.
Il corpo di Mendola è stato trovato all’interno di un vecchio capannone, ormai in abbandono, a Pombia. Era il 4 aprile di cinque anni fa. È stato ucciso con due colpi d’arma da fuoco esplosi alla testa. Poi la vittima è stata finita con una vecchia batteria d’auto che gli ha fracassato il capo
Il teorema accusatorio, che non ha retto in Assise, vorrebbe che Cauchi abbia commissionato l’uccisione dell’altro per non meglio definiti motivi d’interesse. E anche la mancanza di un vero e proprio movente sarebbe stato uno degli elementi che avrebbero contribuito alla formulazione di un verdetto di non colpevolezza al termine del primo processo.
A puntare il dito contro l’imputato è stato uno dei sicari – che ha ammesso di avere sparato – che prima lo ha additato e poi è tornato indietro sui suoi passi. Inizialmente ha indicato Cauchi come colui che gli avrebbe fornito la pistola utilizzata per l’agguato. Arma che, però, non è mai stata trovata.