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Il crollo della scuola di Serradifalco, quattro condanne in appello

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Serradifalco – Quattro condanne per il crollo della scuola elementare «Verga» di Serradifalco. Le ha sentenziate la corte d’Appello di Caltanissetta che ha confermato il pronunciamento di primo grado.

È di 2 anni a testa la pena inflitta al direttore dei lavori, Pietro Garrasi di Milena, al coordinatore della sicurezza Gaetano Cordaro, al responsabile del cantiere, Nunzio Anicito ed a  Franz Di Bella, titolare dell’impresa che si è aggiudicato l’appalto per la ristrutturazione – assistiti dagli avvocati Giuseppe Dacquì, Felice Giuffrè, Maria Donata Licata e Tommaso Tamburino – tutti già giudicati colpevoli in primo grado.

In più la Corte, presieduta da Maria Carmela Giannazzo – consiglieri Alessandra Giunta Giuseppe Tripi –  ha confermato anche la condanna dei quattro imputati al pagamento del risarcimento dei danni in favore del  Comune di Serradifalco  –  assistito dall’avvocato Antonio Campione – che si è costituito parte civile.

Il cedimento risale alla mattina del 10 gennaio di dodici anni addietro. Quando d’improvviso un’ala interessata da lavori di ristrutturazione è venuta giù.

Accanto, nel resto dello stabile, i bambini erano in classe a seguire le lezioni. E, nei primi momenti, è stato il panico

Mentre gli operai sono riusciti a mettersi in salvo per un soffio. Pochi istanti prima che tutto venisse giù in un rumore assordante.

E se per l’accusa il cedimento sarebbe stato da imputare a errori nei lavori di rifacimento, per la difesa le ragioni sarebbero state altre.

«L’errore è del progetto… solo ed esclusivamente del progetto…  né dell’impresa, né del  direttore dei lavori né della sicurezza ». Così l’ avvocato Giuseppe Dacquì  aveva provato a tirare via le castagne dal fuoco per due dei quattro imputati tirati in ballo  per il cedimento.

«Il crollo è da imputare al mancato ammorsamento di una parete, peraltro nascosto dall’intonaco, e che il progettista non avrebbe mai segnalato… così i lavori sono stati effettuati, a loro insaputa, in una struttura precaria, alquanto instabile», aveva aggiunto l’avvocato Dacquì.

E per meglio rendere l’idea della presunta carenza strutturale aveva pure mostrato in aula, alla Corte, uno scatolone di cartone, dimostrando come, tirando via il coperchio – che raffigurerebbe la copertura di quell’edificio – se una della pareti non è ancora l’intera struttura diventa traballante.

E la questione del mancato ammorsamento di una parete sarebbe stata pure rilevata dall’esperto nominato dalla stessa corte d’Appello.

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