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«In una foto l’alibi di un accusato per il delitto Siddique», la difesa chiede un perizia

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Caltanissetta – Una fotografia lo scagionerebbe. Dimostrerebbe che lui sul luogo del delitto non vi sarebbe stato. Perché si sarebbe trovato altrove già da prima.

E per questo la difesa ha chiesto alla corte d’Assise di Caltanissetta una perizia su quegli scatti. Che ritrarrebbero ventiduenne pakistano, Muhammad Sharjeel Awan mentre in casa di un amico – lo stesso che poi sarebbe stato ritenuto favoreggiatore degli assassini per averli accolti in casa – bevevano birra e mangiavano.

Sarebbero state le 23.02 del 3 giugno 2020, prima che scattasse l’agguato in casa con obiettivo il trentaduenne pakistano Adnad Siddique, ucciso per essersi fatto portavoce della “ribellione” di suoi connazionali vittime di sfruttamento nei campi.

E l’avvocato Giuseppe Dacquì, che assiste Awan, ha chiesto ai giudici che quelle foto, scattate con il telefonino dello stesso imputato,  vengano sottoposte a perizia. La procura si è opposta perché ormai sarebbe passato troppo tempo. Al momento dell’arresto di Awan gli è stato sequestrato il telefonico, restituitogli soltanto dopo, quando il tribunale del riesame, su istanza della difesa, lo ha rimesso in libertà per il delitto Siddique.

Poi è rimasto coinvolto in una inchiesta collegata, quella sul caporalato, èed è la ragione per cui adesso si trova agli arresti. Ma perché tirato in ballo per un paio di rapine.

Sulla richiesta di periziare quegli scatti del telefonino, la Corte presieduta da Roberta Serio (a latere Simone Petralia) si è riservata.

Alla Sbarra, per questo delitto, vi sono pure Giada Giarratana, Sehzad Khuram, Ali Imran, Shujaat Ali, Arshad Muhammad, Nawaz Muhammad, Muhammad Mehdi – assistiti dagli avvocati Massimiliano Bellini, Giovanni Di Giovanni, Giuseppe Dacquì, Salvatore Baglio, Vanessa Di Gloria, Diego Giarratana, Evira Samuela Gravagna e Riccardo Contardi) – che a vario titolo rispondono anche del reato associativo, caporalato e favoreggiamento per lo stesso omicidio.

Nei loro confronti –  assistiti dagli avvocati Monia Giambarresi, Maria Ricotta, Adriana Vella, Jennifer Guarino, Graziano Baglio, Marco Lomonaco, Giuseppe Orlando, Stefania Giambra, Sara Sammartino, Lia Minacapelli e Giovanni Annaloro – sono parti civili i familiari della vittima, il Comune di Caltanissetta, alcune vittime di caporalato, la comunità «I girasoli» di Milena e suoi ospiti, l’associazione Proxima, Mo.Vi e la Cgil.

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