CALTANISSETTA- È stato un pentito, per videoconferenza, a svelare alcuni particolari sulle fasi che hanno preceduto quello che poi è stato un fallito agguato.
In particolare il collaborante riesino Gaetano Scibetta che, tra l’altro, si è soffermato anche su un tentato omicidio al centro dell’inchiesta «De Reditu».
L’episodio in questione è relativo al tentato omicidio – era la primavera del ’97 – del riesino Salvatore Pasqualino.
«Vi fu una riunione, in una garage, a cui parteciparono persone mai viste e che non avevano niente a che vedere con la famiglia di Riesi, forse perone che avevano chiesto lavoro a Francesco Cammarata… e quando lui gli chiese chi voleva partecipare all’omicidio, sbiancarono in faccia, nessuno rispose», ha spigato il collaborante.
Lo stesso che poi ha ammesso «di avere spostato due latitanti, Salvatore Siciliano e Daniele Emmanuello» dopo che si era allontanato un po’ da Cosa nostra.
Altro aspetto toccato, le presunte imposizioni di manodopera all’ex Polo tessile di Riesi. «Lavoravano lì tre miei zii, ma non so se siano stati imposti», ha spiegato.
E su questo aspetto uno degli imputati, Massimo Amarù, ha reso dichiarazioni spontanee evidenziando come il collaborante non saprebbe nulla dell’assunzione dei suoi parenti «mentre mi accusa – ha rimarcato – che la mia assunzione è stata dettata da Francesco Cammarata».
Nel processo sono sotto accusa il capomafia riesino Francesco Cammarata, la sorella, Maria Catena Cammarata, Salvatore Tambè Giuseppe Cammarata, Giuseppe Di Garbo, Rocco Felice e lo stesso Massimo Amarù – difesi dall’avvocato Danilo Tipo, Carmelo Terranova, Vincenzo Vitello, Mirko La Martina, Isabella Costa , Fabiana Giordano e Giancarlo Mattiello – chiamati a rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, del reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti, estorsioni ed armi.
Sono parti civili – assistiti dagli avvocati Annalisa Petitto, Oriana Limuti, Giuseppe Trigona e Maria Elena Venturi – il Comune di Riesi, l’impresa Russello e la Cantina sociale di Riesi.