Intervista a tre donne che rivestono cariche istituzionali di particolare rilevanza e responsabilità nella provincia Nissena.A curarla gli studenti dell’ istituto d’istruzione superiore «Senatore Angelo di Rocco» di Caltanissetta, accompagnati dalla preside dell’istituto Laura Zurli e dalle docenti responsabili del progetto, in occasione della ricorrenza del 25 Novembre, giornata dedicata all’eliminazione della violenza contro le donne e nell’ambito del progetto extracurricolare Scuola Web: «Blog Di Rocco». «L’idea – è stato spiegato dalla dirigente – prende spunto dal concetto di emancipazione della donna quale presupposto concreto per l’uscita dalla condizione di sottomissione, contribuendo in maniera determinante alla presa di coscienza delle proprie potenzialità quale condizione essenziale per non accettare alcun tipo di violenza». Nella circostanza Manuel Parisi, Chiara Sconzo e Giuseppe Solito, studenti del «Di Rocco», hanno elaborato e proposto alcune domande, con l’obiettivo di fornire uno spunto di riflessione per tutte le giovani donne, anche alla luce dei terribili fatti di cronaca recentemente accaduti. Gli alunni e l’intera comunità scolastica del «Senatore di Rocco» hanno esaltato l’esempio concreto di vicinanza al mondo dei ragazzi e per il contributo educativo di alto profilo trasmesso con le loro parole dalle tre donne con incarichi di prestigio.
Intervista al prefetto di Caltanissetta, Chiara Armenia
Cosa vuol dire essere donna e ricoprire un ruolo istituzionale del suo livello?
“L’incarico di rappresentante del Governo in provincia è un incarico di massima responsabilità che si raggiunge affrontando tante salite, tanti sacrifici e tante rinunce.
Non ho mai vissuto questo ruolo come un ruolo di potere ma come servizio per il bene comune, a esclusivo interesse della collettività. “Servizio” significa tante cose. Significa agire ascoltando e confrontandosi con tutti, cittadini, istituzioni, anche voi studenti, sempre in un’atmosfera di serenità e trasparenza e con il sorriso, che ritengo fondamentale per smorzare le tensioni. Quando un problema si risolve per la collettività, vi assicuro, ascolto musica e questo vuol dire che sono soddisfatta”.
Simonetta Sciandovasci sul quotidiano “La Stampa” scrive:
Nei film ‘C’è ancora domani’ e ‘Barbie’ le donne hanno trovato il racconto di qualcosa che vivono: la fatica di dover essere un ruolo e non una persona, di dover soddisfare standard diversi e la frustrazione di vedersi sempre scavalcate da qualcuno.
Lei pensa che questa riflessione rispecchi in parte anche il suo percorso lavorativo?
“Non me la sento di dire che c’è uno sdoppiamento della personalità a causa del mio ruolo, anzi ritengo che il ruolo istituzionale che si ricopre si svolga al meglio se la propria personalità viene fuori anche nel lavoro. Non credo di essere diversa da come sono a casa o in famiglia. Il ruolo di donna e quello istituzionale rappresentano un coacervo di sensazioni; la mia femminilità, il mio modo di essere donna si vedono anche nel ruolo che svolgo.
Non mi sono mai sentita “superata” da nessuno perché non mi sono mai sentita in competizione con nessuno, ho sempre gioito dei traguardi degli altri.
Nella mia amministrazione non ho mai avvertito nessuna sorta di discriminazione, forse per il mio modo di essere, tant’è che una delle cose belle su cui ho sempre puntato è la sinergia. Ovunque io sia stata ho sempre messo tutti insieme, uomini, donne, credendo molto nella collaborazione. Ho coordinato diversi gruppi di lavoro per la gestione di emergenze nei territori, talvolta composti da funzionari uomini di grande spessore, ma non ho mai provato disagio o sofferenza, anzi si è creato un clima di grande affetto.
Molti uomini, ma purtroppo anche molte donne, ritengono che la donna non possa occupare posti di comando perché è troppo suscettibile ai mutamenti di umore. Lei cosa direbbe a queste persone?
“Assolutamente no! Io non vivo questi mutamenti, esprimo sempre quelle che sono le mie emozioni, spiegandone il motivo. Ritengo che l’equilibrio possa essere dell’uomo e della donna.”
Cosa consiglierebbe a una giovane donna che vorrebbe intraprendere il suo stesso percorso lavorativo e soprattutto cosa direbbe al compagno che si trova al fianco di questa ragazza?
“Bisogna essere pronti al sacrificio perché la vita è fatta di sacrifici, per questo l’indole è importante.
Al compagno che lei ha accanto direi che se ama la compagna, la moglie o la fidanzata non c’è problema. Mio marito mi ha sempre sostenuta e seguita, ha sempre tifato per me e mi ha sempre dato tanta fiducia anche quando la fiducia in me stessa veniva meno perché in tanti anni di carriera accade un po’ di tutto. Indubbiamente, il nostro è un lavoro logisticamente complesso, ci si sposta spesso e non sempre chi ci è accanto può seguirci, ma ci si organizza.
Purtroppo, oggi si è creata una realtà parallela, virtuale, dove tante cose non esistono se non in quella dimensione. Io credo che questa digitalizzazione stia fuorviando da quello che è il vero percorso della vita che non è solo un gioco. Invito dunque voi studenti a farvi portatori di bei principi, gli unici che vi potranno guidare quando vi troverete a fare i conti con la vita. Tra questi c’è sicuramente il sacrificio, che vi darà tanti risultati, perché spinge ad andare oltre se stessi, generando risultati su risultati.
Quindi, il consiglio che sento di dare è quello di abbracciare il “sacrificio”, perché solo il sacrificio dà risultati e non i social network, che pure hanno la loro funzione sociale se usati per la condivisione e il bene comune. Credo sia meglio affrontare un cammino pieno di ostacoli più o meno pesanti cercando di superarli, che fare un cammino facile dove si rischia in qualunque momento di tornare indietro.”
Molti accusano le donne di non saper “fare squadra” perché prese da invidie e gelosie. Lei crede sia soltanto il solito stereotipo o realmente le donne non riescono a collaborare?
“Fare gruppo significa stare tutti insieme, vuol dire “dare” e “ricevere”, decidere insieme perché noi siamo una comunità.
Io ho sempre fatto staff, in alcune occasioni da componente e in altre da leader, e dai risultati che ho avuto non penso di aver fatto troppo male. Non credo che il problema dipenda dall’essere “uomo” o “donna” ma dipende dal carattere. Io credo nella condivisione, chi perde da solo soffre di più, invece la vittoria e la sconfitta insieme sono un’altra cosa.
L’umiltà è fondamentale, nel momento in cui ci si sente superiori ad un altro è tutto inutile, anche il ruolo che si ricopre. Se invece ci si sente soltanto una persona che ha un livello di responsabilità diverso dagli altri, allora ci si riesce a rapportare con gli altri in maniera semplice e umile senza sforzarsi e senza essere retorici. L’umiltà è innata, ma è anche un esercizio: quello di “non tirarsela troppo”, anzi “mai”.”
intervista al questore di Caltanissetta, Pinuccia Albertina Agnello
Cosa vuol dire essere donna e ricoprire un ruolo istituzionale del suo livello?
«In quanto donna, vivo il mio ruolo istituzionale come una marcia in più, perché, al di là della parità dei sessi, penso che ognuno dei due abbia le proprie caratteristiche. Quest’ultime nella donna derivano dalla sua sensibilità, dalla costanza, dalla forza di volontà e dalla tenacia che la contraddistinguono e le danno anche la forza per affrontare i ruoli, anche se ancora c’è qualche scoglio da superare, sia a livello legislativo sia a livello pratico».
Simonetta Sciandovasci sul quotidiano “La Stampa” scrive:
Nei film ‘C’è ancora domani’ e ‘Barbie’ le donne hanno trovato il racconto di qualcosa che vivono: la fatica di dover essere un ruolo e non una persona, di dover soddisfare standard diversi e la frustrazione di vedersi sempre scavalcate da qualcuno.
Lei pensa che questa riflessione rispecchi in parte anche il suo percorso lavorativo?
«Nel mio percorso lavorativo, nonostante, sin dagli albori della mia carriera lavorativa, mi sia ritrovata a collaborare con molti uomini, non ho mai riscontrato problemi di questo genere».
Molti uomini, ma purtroppo anche molte donne, ritengono che la donna non possa occupare posti di comando perché è troppo suscettibile ai mutamenti di umore. Lei cosa direbbe a queste persone?
«Mi viene veramente da ridere, ma questo è uno stereotipo su cui ancora si deve lavorare. Non sono i cambiamenti di umore che fanno la differenza. Il mio primo anno di servizio a Palma di Montechiaro erano tutti uomini e isterismi ne ho incontrati comunque parecchi».
Cosa consiglierebbe a una giovane donna che vorrebbe intraprendere il suo stesso percorso lavorativo e soprattutto cosa direbbe al compagno che si trova al fianco di questa ragazza?
«Sicuramente un consiglio che potrei darle è di circondarsi di persone che appoggino i progetti di lavoro e di vita. Un uomo che mi ha sempre incoraggiata nella mia realizzazione è mio padre. Lui mi ripeteva sempre che non dovevo dipendere da nessuno. Con mio marito ci siamo invece fatti un regalo: quello di aiutarci e dare il massimo per accudire nostra figlia. Se dovessi basarmi sulle esperienze di alcune mie colleghe, potrei dirvi che molte di loro hanno interrotto le loro relazioni perché i loro compagni di vita non hanno saputo accettare la loro carriera; possono esserci infatti delle gelosie, ne è sicuramente prova quello che è successo nelle ultime settimane con il femminicidio di Giulia Cecchettin. La cosa paradossale di quello che è successo a Giulia, è che possa succedere a donne di oggi. Io non avrei mai potuto pensare di arrivare nel 2023 e trovarmi di fronte ad una società che vive gli stessi problemi dell’epoca in cui io ero ragazzina, proprio perché mi aspettavo una società migliore e più evoluta. Altro stereotipo è sicuramente quello legato alla bellezza e all’intelligenza della donna poiché se una di loro ottiene un incarico, alcune volte le sarà detto “chissà come ci sei arrivata”, mentre l’uomo no. Sono purtroppo stereotipi maschilisti».
Molti accusano le donne di non saper “fare squadra” perché prese da invidie e gelosie. Lei crede sia soltanto il solito stereotipo o realmente le donne non riescono a collaborare?
«Questo è un altro stereotipo, le donne sanno fare squadra poiché hanno più costanza e forza di volontà e trascinano il resto delle persone; l’invidia e la gelosia non conoscono sesso. Io mi ripeto sempre questo: “alle donne dico sempre di volersi bene, ed essere più solidali”. È quasi scontato che gli uomini siano al comando di qualcosa, noi donne dobbiamo credere più in noi stesse e aiutarci, facendo fuoriuscire la nostra forza non solo quando succede qualcosa di grave che colpisce il genere femminile (un po’ come sta succedendo negli ultimi giorni), ma sempre. Dobbiamo gioire quando una donna riesce a raggiungere certi livelli e certe cariche. Le nostre sono delle conquiste».
intervista alla soprintendente Ai Beni Culturali , Daniela Vullo
Cosa vuol dire essere donna e ricoprire una carica del suo livello?
“Significa certamente avere una grande responsabilità lavorativa e significa anche dover affrontare tante problematiche non solo di carattere lavorativo ma a volte anche professionali. Però, a monte di tutto c’è sempre un obiettivo che si vuole raggiungere, per cui a fronte di molte difficoltà ci sono delle soddisfazioni che ripagano i sacrifici fatti. Io, in quanto dirigente di una amministrazione pubblica, non ho mai riscontrato nessuna differenza tra me e i colleghi maschi, nessuno me l’ha mai fatta notare o pesare. Io sono un Architetto e la mia esperienza professionale è cominciata facendo attività nei cantieri, quindi un lavoro prettamente da uomo, e lì mi è capitato di notarla. All’inizio della mia carriera nei cantieri vedere un architetto donna era un pò strano e soprattutto non venni accettata immediatamente ma comunque a fronte di queste situazioni iniziali, la competenza, la professionalità, l’essere anche ben disposti nei confronti della persona con cui ci dobbiamo confrontare, porta sempre buoni frutti. Non ho mai avuto problemi dopo, solo all’inizio quando mi presentavano all’impresa mi chiamavano “signora” mentre al mio collega lo chiamavano “architetto” e già questo non è segno di rispetto, perchè fuori dal lavoro accetto ben volentieri di essere chiamata “signora”, ma in ambito lavorativo voglio essere chiamata col mio ruolo. Quindi un direttore dei lavori donna deve essere chiamata “architetto” e non “signora” perché non ho mai sentito un direttore dei lavori donna venire chiamato “signore”. Però ripeto è solo in fase iniziale, ora non ho più questi problemi.”
Simonetta Sciandovasci sul quotidiano la stampa scrive:
Nei film “c’è ancora domani” e “Barbie” le donne hanno trovato il racconto di qualcosa che vivono: la fatica di dover essere un ruolo e non una persona, di dover soddisfare standard diversi e la frustrazione di vedersi sempre scavalcate da qualcuno.
Lei pensa che questa riflessione rispecchia in parte anche il suo percorso lavorativo?
“No, assolutamente no. Essere scavalcati sul lavoro o nella vita è capitato e capita a tutti, il problema è come affrontare ciò. Io ho vissuto delle esperienze negative, come quando qualcuno, che non si sa perché, è passato prima di me, ma io l’ho vissuta sempre in modo propositivo, quindi quando qualcuno mi sorpassava io mi impegnavo di più per raggiungere quell’obiettivo. L’essere donna , ma soprattutto essere mamma non l’ho mai vissuto come un fattore ostativo alla mia carriera, poi ovviamente ci sono delle situazioni individuali che portano a delle scelte obbligate magari per situazioni familiari particolari, ma in quel caso si tratta di condivisione di scelte e non di un obbligo e si può fare un passo indietro. Nel mio caso mio, poiché mio marito non lavora a Caltanissetta, quando mio figlio era più piccolo, io ho fatto in modo di restare qui perché lui in nessun modo sarebbe potuto spostarsi, ma anche lui avrebbe fatto la stessa cosa per me, quindi non è un problema di genere ma dipende dalle situazioni familiari.”
Molti uomini, ma purtroppo anche molte donne ritengono che la donna non possa coprire ruoli di comando perché troppo suscettibile a cambiamenti di umore. Lei cosa ne pensa?
“A me non è mai capitato, anzi io nella mia carriera ho visto molti uomini con cambiamenti di umore.”
Cosa consiglierebbe a una giovane donna che vorrebbe intraprendere il suo stesso percorso lavorativo e soprattutto cosa direbbe al compagno di questa ragazza?
“Direi alla ragazza che se ha un sogno di carattere lavorativo lo deve seguire in tutti i modi, quindi studiando e impegnandosi, questo per me è fondamentale. Io ogni mattina esco di casa contenta perché faccio un lavoro che ho sempre voluto fare, quindi direi alla ragazza
che se ha un sogno deve fare di tutto per realizzarlo. Invece al ragazzo che le sta vicino le direi di supportarla, incoraggiarla e spronarla se ha questo desiderio, perchè io sono convinta che l’amore è condivisione e non competizione.”
Molti accusano le donne di non saper fare squadra perché prese da invidie e gelosie. Lei crede che sia il solito stereotipo o crede che le donne realmente non siano capaci di fare squadra?
“Io credo che sia il solito stereotipo, le donne date le loro capacità organizzative notevoli sanno fare squadra. Forse è un fenomeno che riguarda i rapporti interpersonali, nel lavoro invece credo che da soli per quanto si è bravi non si va da nessuna parte.”