Caltanissetta – Esperti contro sull’identità di quella voce che avrebbe chiesto un riscatto. Per un rapimento poi finito nel sangue. Con l’uccisione dell’ostaggio. Diametralmente divergenti le conclusioni delle consulenze di esperti fonici incaricati dalla corte d’Assise e dalla procura per la morte di un ex carabiniere. La vittima uccisa nell’ormai lontano 1987 in Emilia Romagna è l’allora ventunenne Pierpaolo Minguzzi. Un caso rimasto nell’ombra per anni. E adesso alla sbarra v’è pure un ex carabiniere gelese, il cinquantunenne gelese Orazio Tasca, sotto accusa con l’artigiano Alfredo Tarroni e un altro militare marchigiano, il cinquantottenne Angelo Del Dotto. Secondo il perito incaricato dalla Corte d’Assise di Ravenna che li sta processando, la voce del telefonista della banda non sarebbe quella dell’ex carabiniere gelese. Questo il ruolo che la procura gli avrebbe affibbiato. E secondo il consulente incaricato dalla stessa accusa, quella voce al telefono che chiederebbe il riscatto ai familiari della vittima sarebbe proprio quella del gelese. Deduzioni, quelle di perito e consulente, che passando attraverso precisi distinguo di carattere tecnico, ognuno dei quali, evidentemente, differentemente motivati. Per anni l’omicidio Minguzzi – l’allora carabiniere di leva rapito, ucciso e il corpo gettato nel fiume Po – è rimasto un cold case. Soltanto trent’anni dopo, grazie ad altre indagini, il caso è stato riaperto approdando a una svolta, tanto da fare scattare il rinvio a giudizio di tre imputati sequestro di persona, occultamento di cadavere e omicidio aggravato.
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