Caltanissetta – «Pur non potendo escludere l’azione di una seconda persona che afferra l’arma insieme alla vittima, durante lo sparo, si propende per un’azione di suicidio, concretizzata impugnando l’arma con due mani».
A sostenerlo è il Ris di Messina tra le pieghe dell’inchiesta per la morte del ventiseienne nissenio Mirko Antonio La Mendola – i familiari della vittima sono assistiti dall’avvocato Rosario Didato – che ha tagliato il suo conto con la vita per una delusione lavorativa. Una selezione non superata a un concorso come agenti di polizia.
E per questa vicenda un diciassettenne nisseno – difeso dall’avvocato Calogero Buscarino – è finito sotto processo per istigazione o aiuto al suicidio. Questa l’imputazione per cui lo giudicherà dal tribunale per i minorenni di Palermo.
Il reparto investigazioni scientifiche di Messina ha rilevatio che «data la posizione finale della pistola e l’impatto accertato del corpo di La Mendola con l’arma durante la caduta, si può escludere che il colpo si astatio esploso da una seconda personma che impugnasse indipendentemente l’arma».
Altro aspetto appurato dal Ris è che la vittima al momento dello sparo era in ginocchio «evidenza fornita dalla posizione del corpo incompatibile con una posizione in piedi».
Mentre dalla prova dello stub sono emerse tracce di polvere da sparo in entrambe le mani. Già perché
lo stesso La Mendola, sempre secondo la relazione tecnica degli esperti, avrebbe impugnato la pistola con entrambe le mani.
Ma queste e altre valutazioni ancora emerse tra le pieghe del rapporto, passano per la premessa che «la scena è stata alterata dall’intervento del personale dei comandi terriutoriali e dal personale medico intervenuti in zona, ragione per cui non è possibile interpretare correttamente alcuni partticolari come, ad esempio, la previsa posizione in cui è stato rinvenuto il corpo di La Mendola dopo lo sparo e, soprattutto, la precisa posizione delle braccia , utile a una più accurata ricostruzione degli eventi».