È stata la Suprema Corte a chiudergli le porte in faccia. Così da rendere definitiva l’affermazione di responsabilità già sancita nei suoi confronti. Così per il quarantatreenne gelese Massimo Gerbino ritenuto dai magistrati coinvolto in un traffico di droga sotto l’ala della mafia saltato fuori tra le pieghe di un blitz antimafia messo a segno dalla polizia nel giugno di sette anni addietro. Un giro, in particolare, che avrebbe gestito il fratello, secondo il teorema accusatorio. E che si sarebbe sviluppato per conto del clan Rinzivillo di Gela. Droga – hashish, marijuana, cocaina ed eroina – che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stata acquistata nel mercato catanese, canale privilegiato, per poi essere smerciata nel Nisseno. Solo in rare occasioni la sostanza sarebbe stata acquista al Norditalia. Ora la Cassazione ha blindato per Gerbino la condanna a vent’anni di carcere in continuazioni con precedenti sentenze emesse a suo carico. È passando per cinque diversi procedimenti che, adesso, è stato sostanzialmente confermato il verdetto dell’appello “bis”, emesso dalla corte di Caltanissetta.