Caltanissetta – Pioggia di condanne per un sospetto traffico di reperti archeologici. Tre meno, però, di quante ne abbia chieste la procura nei confronti di una ventina d’imputati.
Con pene che oscillano da un minimo di tre mesi a un massimo di quattro anni e tre mesi. Un po’ meno pesanti rispetto alle richieste che erano state avanzate dal pubblico ministero e che avevano toccato il tetto dei sette anni e mezzo di reclusione.
La condanna più pesante è stata inflitta a Simone Di Simone con quattro anni e tre mesi; per Giuseppe Rapisarda tre anni e due mesi, un mese in meno per Orazio Pellegrino; due anni a testa per Vincenzo Peritore, Salvatore Cassisi, Michaela Ionita e Nicola Martines; per Vincenzo Cassisi e Gaetano Di Simone un anno e dieci mesi; per Pasquale Messina dieci mesi; Nicolò Cassarà cinque mesi; Amedeo Tribuzio quattro mesi; chiude il quadro delle affermazioni di responsabilità Pietro Giannino con tre mesi.
Capi d’imputazione ormai prescritti per Francesco Cannizzaro, Francesco Musumeci e Francesco Rapisarda.
Assoluzione con formula piena, invece, per Nicolò Cassarà, Vincenzo Strabone, Benedetto Cangemi e Giuseppe Orfanò. «Non hanno commesso il fatto» ,a motivazione al centro del pronunciamento.
Secondo l’accusa agli imputati avrebbero rivestito ruoli differenti all’interno del sistema. Dallo spaccato tracciato dai magistrati vi sarebbero tombaroli, chi ne avrebbe valutato il valore nel mercato nero e chi, invece, si sarebbe occupato di vendere gli stessi reperti. L’inchiesta ha toccato, oltre quella nissena, anche altre province siciliane.
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