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Ucciso perché dava fastidio a Cosa nostra, dopo 25 anni due arresti per il delitto del sindacalista Mico Geraci

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Caltanissetta – Un quarto di secolo dopo, i presunti mandanti ed esecutori di un delitto hanno un volto e un’identità. È stata la direzione distrettuale di Palermo, sotto la guida del procuratore capo Maurizio de Lucia, coordinando le indagini dei carabinieri, a ricostruire lo scenario in cui è maturato il delitto del sindacalista Mico Geraci.

È stato ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla sua abitazione di Caccamo, sotto gli occhi della moglie e del figlio Giovanni. Era l’8 ottobre 1998.

 Avrebbe pagato con la vita l’essersi apertamente schierato, in suoi discorsi pubblici, contro la famiglia mafiosa di Caccamo.

Un personaggio scomodo per gli interessi illeciti di Cosa nostra. E, così, «Binnu» Provenzano ne avrebbe ordinato l’uccisione.

Le misure cautelari sono state emesse a carico di due esponenti della famiglia mafiosa di Trabia, peraltro già detenuti per altre vicende giudiziarie. I due su mandato del capomafia corleonese, secondo la tesi accusatoria, avrebbero pianificato e poi commissionato l’agguato.

I sicari entrati poi in azione nell’ottobre del ’98 sono due giovani peraltro a loro volta uccisi. E, uno di loro, proprio dagli stessi due arrestati di adesso per il delitto Geraci.

Le indagini su questo delitto, in passato, non sono mai approdate auna svolta. Neanche sulla base delle dichiarazioni dell’ex boss di Caccamo, poi collaborante, Nino Giuffrè. Soltanto un po’ più di recente, la commissione parlamentare antimafia si è occupata di questo caso e ha inviato un rapporto alla procura mettendo a disposizione nuovi elementi che, poi, si sarebbero rivelati determinanti per la svolta di quello che a lungo è rimasto un cold case.

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